mercoledì 27 aprile 2016

ATANASIO GIUSEPPE ELIA, presenta Gianni Santagati

                                                       Idea astratta di spazio – tempo
                                                                                
                                                                                  di Atanasio Giuseppe Elia
in occasione della personale di pittura di Gianni Santagati
Museo Regionale di Archeologia
Caltanissetta
5 Maggio 2016

La vera vocazione di Gianni Santagati è nella pittura astratta. Una dimensione, questa, che per l’artista nisseno trova significato ed espressione attraverso immagini e superfici dalle forme geometriche. La geometria, d’altronde, è determinazione dello spazio, o ancora è quello zero dal quale,talvolta, nascono tutte le composizione di forme colorate che ci circondano. Il segno geometrico, dunque, deve essere qui inteso come quel nucleo generatore che appartiene alle condizioni minime della grammatica artistica, o che, come amava affermare il pittore ucraino Malevič, è «il primo passo della creazione pura in arte».
È così l’intrinseco rapporto tra lo spazio, così riscattato, e le cose che lo “abitano”, a costituire il principio fondante dell’indagine pittorica e mentale dell’artista. Quello spazio che, in piena concezione kantiana, è la condizione necessaria della nostra permanenza e della nostra stabilità. In questa condizione immanente, lo spazio (e il tempo) pensato da Santagati diviene superfice di rappresentazione dove coesiste il molteplice. In virtù di tale disposizione, l’artista, con la sua mente, il suo corpo, il suo spirito, è parte intrinseca di questo insieme: “presa di coscienza percettiva”.
Non a caso, fin dalle prime opere, risalenti tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’90, Gianni Santagati scruta il delicato rapporto tra il gesto, inteso come vibrazione di energia mentale in rapida esecuzione, e lo spazio dove si colloca. L’esito del gesto, il segno, qualifica lo spazio come tale e ne rende evidente la sua infinità. Non ha importanza se questo segno si traduce in una linea retta o in triangoli arcuati, in forme geometriche o forme piane,ciò che conta per l’artista è intervenire direttamente sullo spazio dilatato - meglio se direttamente sulla parete bianca - e trasferire l’energia del proprio vissuto in immagini concrete.
La ricerca di queste immagini, saggiamente in equilibrio tra concretezza e gestualità, trova ulteriore riscontro nella sua ultima fase creativa iniziata nel 2013. Nella fattispecie in una serie di opere intitolate Archeologia che prelude alla relatività spaziale dell’opera e dell’osservatore. Concepita per non avere una direzione, l’opera s’identifica con lo spazio bianco-luce del supporto, attraversato da raggi di colore pregni di luce, da linee calde e fredde, talora intrecciate, sovrapposte, contrapposte, dilatate, condensate, ma capaci di dare sempre forza e senso dinamico. Santagati, in questo modo,scava oltre l’imminente (inteso come superamento del limite del visibile) del rapporto colore, linea, spazio - valori primari e strutturali della visione, riducendo la complessità della materia ai minimi termini. Il compito della linea-colore-luce è restituire le infinite sensazioni di profondità, di mutazione, di dinamismo cinetico, in un riprodursi d’immagini in sequenza nello spazio-tempo. L’intervento del colore giallo,blu e rosso, producono  trasparenze che accentuano l’effetto d’instabilità tridimensionale dell’immagine.

La forza della pittura di Gianni Santagati, in questo modo,oltre ad imprimere una strutturazione tridimensionale,crea un seducente equilibrio fra dato razionale e piena libertà di progettare lo spazio dell’evento. Un oggettivismo astratto,il suo,che rende visibile la complicazione che il post-moderno ha portato con sé:da un lato ciò che percepiamo con i sensi,dall’altro una realtà sempre più mediata e mediatica che si dà soltanto come sovrapposizione di interpretazioni. Il risultato a cui giunge l’artista è sorprendente e provocatorio: la morte dell’astrazione. Perché non si può più astrarre da una realtà che non è né una né univoca.

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