Idea astratta di spazio – tempo
di Atanasio Giuseppe Elia
in occasione della personale di pittura di Gianni Santagati Museo Regionale di Archeologia Caltanissetta 5 Maggio 2016 |
La vera vocazione di Gianni
Santagati è nella pittura astratta. Una dimensione, questa, che per l’artista nisseno
trova significato ed espressione attraverso immagini e superfici dalle forme geometriche.
La geometria, d’altronde, è determinazione dello spazio, o ancora è quello zero
dal quale,talvolta, nascono tutte le composizione di forme colorate che ci
circondano. Il segno geometrico, dunque, deve essere qui inteso come quel
nucleo generatore che appartiene alle condizioni minime della grammatica
artistica, o che, come amava affermare il pittore ucraino Malevič, è «il primo
passo della creazione pura in arte».
È così l’intrinseco rapporto tra lo
spazio, così riscattato, e le cose che lo “abitano”, a costituire il principio
fondante dell’indagine pittorica e mentale dell’artista. Quello spazio che, in
piena concezione kantiana, è la condizione necessaria della nostra permanenza e
della nostra stabilità. In questa condizione immanente, lo spazio (e il tempo)
pensato da Santagati diviene superfice di rappresentazione dove coesiste il
molteplice. In virtù di tale disposizione, l’artista, con la sua mente, il suo
corpo, il suo spirito, è parte intrinseca di questo insieme: “presa di
coscienza percettiva”.
Non a caso, fin dalle prime opere,
risalenti tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’90, Gianni
Santagati scruta il delicato rapporto tra il gesto, inteso come vibrazione di
energia mentale in rapida esecuzione, e lo spazio dove si colloca. L’esito del
gesto, il segno, qualifica lo spazio come tale e ne rende evidente la sua
infinità. Non ha importanza se questo segno si traduce in una linea retta o in
triangoli arcuati, in forme geometriche o forme piane,ciò che conta per
l’artista è intervenire direttamente sullo spazio dilatato - meglio se
direttamente sulla parete bianca - e trasferire l’energia del proprio vissuto
in immagini concrete.
La ricerca di queste immagini, saggiamente
in equilibrio tra concretezza e gestualità, trova ulteriore riscontro nella sua
ultima fase creativa iniziata nel 2013. Nella fattispecie in una serie di opere
intitolate Archeologia che prelude alla relatività spaziale dell’opera e
dell’osservatore. Concepita per non avere una direzione, l’opera s’identifica
con lo spazio bianco-luce del supporto, attraversato da raggi di colore pregni
di luce, da linee calde e fredde, talora intrecciate, sovrapposte,
contrapposte, dilatate, condensate, ma capaci di dare sempre forza e senso
dinamico. Santagati, in questo modo,scava oltre l’imminente (inteso come
superamento del limite del visibile) del rapporto colore, linea, spazio -
valori primari e strutturali della visione, riducendo la complessità della
materia ai minimi termini. Il compito della linea-colore-luce è restituire le
infinite sensazioni di profondità, di mutazione, di dinamismo cinetico, in un
riprodursi d’immagini in sequenza nello spazio-tempo. L’intervento del colore
giallo,blu e rosso, producono trasparenze che accentuano l’effetto
d’instabilità tridimensionale dell’immagine.
La forza della pittura di Gianni
Santagati, in questo modo,oltre ad imprimere una strutturazione
tridimensionale,crea un seducente equilibrio fra dato razionale e piena libertà
di progettare lo spazio dell’evento. Un oggettivismo astratto,il suo,che rende
visibile la complicazione che il post-moderno ha portato con sé:da un lato ciò
che percepiamo con i sensi,dall’altro una realtà sempre più mediata e mediatica
che si dà soltanto come sovrapposizione di interpretazioni. Il risultato a cui
giunge l’artista è sorprendente e provocatorio: la morte dell’astrazione.
Perché non si può più astrarre da una realtà che non è né una né univoca.
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